Marco Olmo, il campione che non mangia carne…
Marco Olmo è nato nel cuneese 67 anni fa e un passo dopo l’altro ha costruito la sua leggenda.
Ha fatto il boscaiolo e il camionista, per ventuno anni ha timbrato il cartellino in una grande cementeria piemontese. “Mi sono dato alla corsa a 27 anni per una sfida personale – racconta Marco Olmo – Ci ho preso gusto e a metà anni ‘90, ormai 48enne, ho partecipato alla mia prima gara lunga. Tutti dicevano che ero vecchio, che non potevo farcela e io ho messo tutto me stesso per dimostrare che si sbagliavano. Se avessi iniziato prima, però, la mia carriera sarebbe stata più prestigiosa”.
Non che così il curriculum di Marco Olmo sfiguri. L’impresa per cui sarà ricordato è la doppia vittoria, nel 2006 e nel 2007, dell’Ultra Trail del Monte Bianco: 160 chilometri e quasi 10mila metri di dislivello attorno alla vetta più alta delle Alpi. Venti ore senza pausa per trionfare in uno degli eventi sportivi più estremi che ci siano. “Ho vinto a 59 anni, non sarà semplice battere il mio record” ammette. Ha percorso nel 2014 la sua ventesima Marathon des Sables, 250 chilometri nel Sahara marocchino, una settimana di corsa in autosufficienza: nello zaino il sacco a pelo per le notti in tenda e decine di barrette energetiche. Dice: “A livello paesaggistico, però, preferisco il deserto dell’Akakus in Libia e il Wadi Rum giordano”. Marco ha disperso il suo sudore a ogni latitudine: sul Monte Sinai per la Maratona dei Dieci Comandamenti e in Martinica, oppure attraverso la Valle della Morte californiana.
“In corsa si mangia e si beve, talvolta si cammina, ma chi si ferma è perduto. Una volta alla Desert Cup in Mali ho fatto 22 ore e mezza filate senza riposo – spiega – La gara a cui sono più affezionato è il Cro Magnon: parte quasi da casa mia e arriva al mare, attraverso il percorso di pastori e contrabbandieri si passa dai faggeti fino alla macchia mediterranea”. Olmo ha voluto celebrare con sei vittorie tra il 2001 e il 2006 la sua passione per quel centinaio di chilometri che separa Limone Piemonte dalla Costa Azzurra. “La corsa non mi ha costretto a grandi rinunce – dice Marco – Quelle le ha fatte mia moglie, che ha dovuto programmare le vacanze in base alle competizioni. Ma, come le dico sempre, se avessi il vizio dell’alcool o del gioco sarebbe peggio. Le soddisfazioni sono state e sono enormi. Ho fan che mi scrivono dalla Spagna e dal Giappone, altri che mi affiancano in gara e mi scortano per un tratto”.
A 67 anni ogni giorno si allaccia le scarpette e va. 90 o 100 minuti d’allenamento, che diventano 5 o 6 ore una volta ogni dieci giorni. “Non ho idea dei chilometri percorsi: non ho tabelle specifiche e calcolo il tempo come i trattori, non tengo conto delle distanze come fanno le auto” scherza. La pigrizia, questo sentimento così umano, non vince mai contro Marco Olmo. “Momenti di scarsa vena capitano quotidianamente. Ma poi mi dico: cos’altro hai da fare? Una volta riscaldato la fatica non fa più paura. In gara scattano motivazioni diverse, ci vuole la testa per non bruciarsi subito e tenere le cartucce migliori per il finale”. Nonostante l’età l’uomo che i francesi chiamano “profilo d’aquila” o “l’incrocio tra un camoscio e un dromedario” non risente di acciacchi. Il corpo continua a risparmiare noie, al più si intensificano le sedute dal fisioterapista e dall’osteopata. Dietologi, invece, mai. “Sono vegetariano da 29 anni, quasi vegano. All’inizio lo feci per motivi fisici, perché un naturopata mi aveva sconsigliato la carne. Poi è diventata una scelta di vita, ma non so dire se abbia favorito o meno le mie prestazioni”. Cosa succederà quando anche l’ultimo traguardo tra le dune sarà tagliato? “Di certo non mi chiuderò in casa – conclude Marco Olmo – Finché il fisico mi regge proseguirò con le passeggiate in montagna e prenderò parte alla non competitiva del mio paese, Robilante. Gli animali continuano a correre fino all’ultimo, figuriamoci se intendo smettere io”.
Una risposta.
un grane uomo…